I Radiohead incantano Firenze – 14.06.17

Per giorni ho tentato di mettere insieme qualche frase di senso compiuto per raccontarvi uno dei concerti più attesi dell’anno, ma senza apparentemente riuscirci. I Radiohead, bene o male, hanno sempre fatto parte della mia vita, nonostante metà dei loro album siano stati pubblicati quando per me “musica” significava solo canzoni di Cristina D’Avena su Italia 1.

Questa prima data del tour italiano segna l’inizio di una lunga rassegna che accompagnerà fiorentini e non per buona parte dell’estate nella cornice dell’Ippodromo del Visarno, al Parco delle Cascine, poco distante dal centro di Firenze.
La mia esperienza inizia a pomeriggio inoltrato, quando ormai i cancelli sono aperti ed i fans più accaniti –in fila dalla 7 del mattino– si sono già guadagnati la transenna. Nonostante questo, numerosi braccialetti per l’area pit non sono ancora stati consegnati (mi sfugge con quale logica gli organizzatori li distribuiscano) perciò mi ritrovo con questa fascetta rosa al polso nell’area dedicata, grata e soddisfatta.

I primi a salire sul palco sono i Junun, side-project del virtuosissimo Jonny Greenwood (ironico che faccia da apertura ad un suo stesso concerto) insieme al compositore Shye Ben Tzur ed una lunga serie di musicisti originari di qualche Stato sconosciuto vicino al Rajasthan, o giù di lì. Una curiosa e piacevole scoperta dal sapore orientale che ha ben saputo divertire il pubblico.
A loro segue James Blake che inizia già a scaldare gli animi e a far ballare la folla, anche se intorno a me erano numerose le facce interrogative o disinteressate, peccato. E peccato soprattutto per i volumi mal calibrati: troppi bassi (tanto da far vibrare le telecamera dei maxischermi) e chitarre quasi inesistenti.

Il sole è ormai tramontato, rimane giusto qualche sprazzo di cielo violaceo dietro la fitta coltre di nubi, apparsa qualche ora prima, che ci ha permesso di scampare ad un’ustione di terzo grado.
Finalmente, poco prima delle 21.30, le luci si spengono e la nostra attesa viene ripagata.
I Radiohead fanno il loro ingresso, suonando tre canzoni tratte dal loro ultimo album, su un palco inizialmente buio ma che poi si circonda di fasci di luce, una notte stellata che lascia tutti quanti estasiati e mi fa pensare “la magia è appena iniziata”, perché un concerto del genere, durato più di due ore, non può che essere considerato magia.

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La band capitanata da Thom Yorke ci regala una scaletta che rasenta la perfezione, un equilibrio di capolavori vecchi e nuovi (Pablo Honey grande escluso) e che dà risalto soprattutto ad Ok Computer: 6 brani eseguiti, forse per celebrare il ventennale dall’uscita, contro i 5 estratti da A Moon Shaped Pool, pubblicato nella primavera del 2016.
Le chicche non mancano –da Myxomatosis a Weird Fishes, da 2+2=5 a Street Spirit, con Greenwood degno di nota che suona la chitarra e contemporaneamente, con la paletta, il pianoforte– ed il pubblico si scatena a più riprese, nonostante basti un accenno di pogo a far volare sulle nostre teste un quantitativo inaudito di polvere, che sto ancora cercando di tossire via. Anche Yorke e soci sono ben sciolti, c’è interazione e scherzi con il pubblico, l’attenzione è alta e non si può certo dire che non sappiano tenere bene il palco. Ci pensano poi i visuals spaziali e fare da contorno, animazioni mai banali che non si limitano a passare semplici immagini sui maxischermi ma che contribuiscono a creare la giusta atmosfera.

Io vivo il tutto in uno stato di trance ed adorazione. Su 15 Step ballo freneticamente come il frontman, la combo Everything In Its Right Place + Let Down mi fa perdere la testa, ma il vero momento da brividi è stato un altro.
Classico mormorio dopo gli applausi, in attesa del prossimo pezzo. Dagli amplificatori esce fuori un accordo inconfondibile, per chi la band la conosce bene. In molti capiscono e gli occhi iniziano ad inumidirsi. Thom Yorke attacca a cantare Exit Music (For a Film) e sulle 50mila persone presenti cala un religioso silenzio che è quasi irreale, difficile da spiegare, ma i brividi che ho provato, le lacrime che ho versato –io come tanti altri attorno a me– probabilmente non li scorderò mai finché campo.

Le note dolenti nel corso della giornata ci sono state eccome, a partire dai controlli all’ingresso (seriamente un fidget spinner o una power bank per cellulare sono considerati potenzialmente pericolosi?) alla gestione dei token fino ad arrivare all’organizzazione generale, che ci lascia praticamente a noi stessi nel momento dell’uscita (ed è subito “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”) mentre alle nostre spalle si avvicina un minaccioso temporale. Ringrazio comunque di non aver sentito nessuno dire “Bello eh, però Creep un l’hanno miha fatta”. (edit: un saluto agli amici presenti alla data di Monza!)
Il Firenze Rocks avrà molto su cui lavorare nel corso di questa edizione, o almeno spero, per il bene dei prossimi spettatori.

Tutto questo però passa per un momento in secondo piano, ripensando ai due encore in cui i Radiohead si cimentano prima di salutarci, al suon di “Ne volete ancora?”. Pietre miliari della musica come Paranoid Android e Fake Plastic Trees ci fanno sognare per un’ultima volta, fino a che la band ci abbraccia con Karma Police, pezzo conclusivo sentito, vissuto dalla prima all’ultima nota, con la band che ci incita a continuare a cantare in coro.

“For a minute there I lost myself, I lost myself